| Carissimi tutti, personalmente, quando sento parlare di "riabilitazione" del Bruno da parte della Chiesa, provo un forte senso di disagio, legato innanzitutto alla parola che si usa: e siccome troppi equivoci cominciano proprio dalle parole, credo che si debba innanzitutto riflettere su che cosa si dice parlando di "riabilitazione" e di "riabilitare". "Riabilitare" significa, in questo caso, "restituire una persona nella stima e nell'onorabilità sociale"; si usa il termine, ad esempio, per un delinquente che viene "riabilitato" nel momento in cui viene riammesso nella società, perché ha pagato il suo debito con essa. Appurato ciò, in merito al Bruno io non trovo alcun "motivo di riabilitazione", perché non capisco che cosa egli abbia fatto di male per dover essere "riabilitato", a meno che il male non consista nell'aver elaborato un sistema di pensiero oggettivamente non compatibile con la fede cristiana: forse per questo lo si deve "riabilitare"? Parlare di "riabilitazione" del Bruno da parte della Chiesa significa implicitamente ammettere che egli fosse dalla parte del torto e che la Chiesa sia stata in diritto di fare quel che ha fatto processandolo, consegnandolo al braccio secolare e facendo bruciare, oltre a lui, le sue opere; significa implicitamente ammettere che, del suo torto, il Bruno debba essere in qualche modo "scusato", e proprio da chi lo ha fatto condannare; significa, insomma, riconoscere implicitamente l'esistenza del reato di opinione e ammetterne la perseguibilità. Il Bruno non ha nessun bisogno di essere "riabilitato", men che meno dai suoi carnefici: ci ha già pensato la storia ad assegnargli il posto che merita nella cultura occidentale. Semmai, come dice anche Anacleto Verrecchia, è la Chiesa a dover riabilitare se stessa, ammettendo di aver commesso un crimine e chiedendone perdono (cosa che, nel caso del Bruno, non ha fatto). Saluti bruniani Maurizio Ceccon
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